Mancanza di opportunità lavorative e stipendi troppo bassi. Sono queste le due principali motivazioni che, secondo l’ultimo rapporto di AlmaLaurea, spingono sempre più giovani neolaureati italiane a emigrare. La tendenza riguarda indistintamente tutti i corsi di laurea.
Stando ai dati raccolti dal consorzio interuniversitario, circa la metà dei laureati italiani si trasferirebbe all’estero per lavoro. Tra le mete più gettonate: Regno Unito, Svizzera, Germania, Francia e Spagna. Un terzo, invece, cambierebbe anche continente.
Le motivazioni sono molteplici. Tra chi ha già compiuto il passo oltre confine, 4 persone su 10 dichiarano di aver deciso di trasferirsi per mancanza di opportunità adeguate in Italia; una su 4, invece, è stata convinta da una proposta di lavoro stimolante avanzata da un’azienda straniera.
Un altro – consistente – incentivo lo si evince dalle impietose statiche riguardanti gli stipendi netti: a cinque anni dalla fine del ciclo di studi, chi lavora all’estero percepisce in media uno stipendio di quasi 800 euro in più rispetto a chi lavora in Italia: 2.266€ contro 1.407. Non a caso 1 intervistato su 3 ammette di non voler fare ritorno in patria perché ciò comporterebbe una riduzione della retribuzione.
Probabilmente i numeri non riescono a raccontare l’ingente danno che questa tendenza arreca al nostro paese. L’Italia rischia di perdere una fetta consistente degli studenti più promettenti, in particolare nelle materie STEM – acronimo di Science Technology Engineering & Mathematics – in cui evidenzia da tempo importanti carenze.
Alcuni dati forniti nel 2019 da Indeed – uno dei principali motori di ricerca a livello mondiale – tracciano una fotografia chiara: il 30% degli annunci di ricerca di personale IT non hanno risposta per almeno 2 mesi, la percentuale lievita al 35% nel campo dell’analisi dei dati e della matematica. Insomma, il mercato del lavoro italiano è alla disperata ricerca di professionisti in ambito scientifico-tecnologico.
Probabilmente, questo evidenzia anche un problema più profondo, di natura culturale: se molti giovani laureati in questi ambiti, pur a fronte di un elevato numero di richieste lavorative, scelgono di emigrare, significa che le aziende italiane non riescono ad essere abbastanza attrattive o ad investire adeguatamente sui giovani talenti.
E dire che, negli ultimi anni, i laureati italiani hanno visto crescere gli indici riferiti a tasso di occupazione e retribuzioni. Nel 2018, il primo è arrivato al 72,1% tra i laureati di primo livello e al 69,4% tra quelli di secondo livello a un anno dalla laurea. Il secondo – sempre riferito ad un orizzonte temporale annuale – si è invece attestato su un valore medio mensile netto di 1.169€ per i laureati di primo livello e 1.232€ per quelli di secondo livello. Questo incremento, però, non è riuscito a tamponare l’emorragia di trasferimenti, soprattutto dal Sud.
Secondo AlmaLaurea, 1 diplomato al Sud su 4 decide di studiare in università del Centro-Nord. Ottenuta la laurea, poi, generalmente non si torna, ma si preferisce la permanenza al Nord o un nuovo trasferimento all’estero. Una tendenza che rischia di svuotare in pochi anni il Mezzogiorno.
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