Uno studio di The European House – Ambrosetti ha evidenziato come in Italia tra il 2008 e il 2018 la variazione del numero di studenti universitari sia stata pari al -5%, ultima tra i grandi Paesi dell’Europa occidentale.
L’Italia è già fanalino di coda in Europa per percentuale di laureati. Nel nostro paese solamente il 27% dei giovani tra i 30 e 34 anni ha ottenuto una laurea contro il 40% della media UE
Oltre all’Italia solo la Spagna è “in perdita”, mentre UK, Francia e soprattutto Germania hanno visto crescere la loro quota di studenti. Lo studio mette in luce un annoso problema del nostro Paese, figlio soprattutto di scarsi investimenti in università e ricerca.
Questo dato non stupisce se guardiamo al livello di investimenti, cronicamente inferiore alla media europea, che i governi italiani hanno dedicato all’istruzione: in rapporto al PIL, il dato italiano è sceso dal 4,6% del 2009 al 3,8% del 2017, mentre nello stesso arco di tempo la media UE è passata dal 5,2% al 4,6% (Eurostat).
Se analizziamo i dati relativi alla spesa in istruzione terziaria, la situazione è ancora più drammatica: l’Italia risulta infatti ultima in Europa in questo campo con una spesa pari allo 0,3% del PIL nel 2018 contro una media europea pari a 0,8%. Francia e Spagna dedicano all’università il doppio della quota italiana (0,6%), mentre con la Germania il distacco aumenta (0,8%).
Al di là delle valutazioni che se ne possono fare, le scelte politiche pesano sulla nascita di questi problemi. I tagli alla spesa pubblica, talvolta inevitabili in tempi di crisi, in Italia sono stati spesso scaricati in modo rilevante proprio sulla spesa per università e ricerca. Il problema è che questi tagli, a differenza di altri Paesi come la Germania, sono stati fatti continuativamente per anni, in particolare dopo la crisi del 2008, con il risultato che il nostro sistema di istruzione superiore si trova costantemente privo dei fondi necessari.
Anche la mancanza di prospettive, legate alla possibilità di fare carriera o al livello di retribuzione, per i neolaureati contribuisce alla scarsa considerazione che molti giovani italiani hanno degli studi universitari. Spesso infatti per i nostri under 30 risulta più conveniente, oppure comodo, appoggiarsi al reddito delle vecchie generazioni: l’alta incidenza (22,2%, Statista) sul nostro Paese del fenomeno dei NEET (neither in employment nor in education nor training) ne è una dimostrazione.
L’esodo di tanti neolaureati in altri Paesi europei o negli USA è legato a questo fenomeno. La stessa mancanza di prospettive che scoraggia molti dall’intraprendere gli studi universitari spinge i più intraprendenti o fortunati a fuggire all’estero per incontrare una domanda di lavoro che valorizzi il loro titolo di studio. Una soluzione potrebbe essere creare una maggiore concordanza tra l’offerta formativa universitaria e le competenze richieste dal mondo delle imprese: la sfida più grande sarà come arrivare a questo risultato senza ledere il principio di diritto allo studio e di libertà di scelta.
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