La notizia è ufficiale: numerosi college statunitensi di prima fascia – tra cui 5 atenei della Ivy League – hanno reso noto che, anche per il prossimo anno accademico, non richiederanno agli studenti di sostenere, ed allegare alla propria candidatura, i test SAT ed ACT: esami standardizzati normalmente obbligatori per accedere agli atenei d’oltre Oceano.
Già la scorsa primavera, alcune università degli Stati Uniti avevano deciso di adottare questa misura straordinaria: complici le diffuse restrizioni imposte dalla pandemia, molti studenti faticavano, infatti, a trovare aperti i cosiddetti testing centers, ovvero luoghi adibiti a sostenere queste tipologie di prove omogenee sul suolo nazionale. Entro l’autunno, la maggior parte degli atenei statunitensi – inclusi gli 8 appartenenti alla Ivy League – aveva condiviso e messo in pratica questa politica.
Quest’anno, a quasi 10 mesi dalla deadline più imminente per la presentazione delle applications per il prossimo anno scolastico – e in anticipo di molti mesi rispetto a quanto accaduto nel 2020 –, molte università hanno già reso noto di voler confermare la decisione anche per la classe di laurea 2026.
A rompere il ghiaccio è stata Cornell – ateneo della Ivy League di Ithaca, New York – che ha recentemente annunciato che non avrebbe richiesto ai suoi futuri candidati di allegare alle proprie domande i risultati ottenuti ai test standardizzati. A stretto giro di posta, altre quattro sorelle del gotha accademico made in USA – Columbia, Dartmouth, Harvard e UPenn – hanno adottato la stessa posizione.
La Columbia University ha definito ufficialmente la propria scelta come una contromisura resa necessaria dalle “continue interruzioni alla disponibilità di test standardizzati a causa della pandemia da Covid-19”. Il prestigioso ateneo newyorchese ha precisato che “gli studenti che non allegheranno il test non saranno svantaggiati”, analogamente “quelli che lo faranno non saranno avvantaggiati in alcun modo”. Per Columbia, “i test standardizzati rappresentano solo una componente di una valutazione stratificata e complessiva”.
Altri college hanno poi seguito la stessa linea. Ad esempio, Dartmouth – piccola università della Ivy League con sede ad Hanover, New Hampshire – ha sottolineato “la necessità di continuare ad adattare le proprie richieste, priorità ed attenzioni alla realtà” – difficile – in cui siamo al momento immersi. Gli studenti verranno valutati in base “a ciò che è presente nella documentazione, piuttosto che per ciò che manca in essa”, ha rassicurato l’antico ateneo, fondato nel 1769 dal pastore protestante Eleazar Wheelock.
Concorde anche la prestigiosa Harvard, secondo la quale il risultato dei test sia “solo un fattore tra i tanti” nel “processo di ammissione della persona”.
Ma quest’idea ha trovato diffusa condivisone anche al di fuori della Ivy League: annunci dello stesso tenore sono stati rilanciati anche da numerosi altri college di elevata caratura, ad esempio CalTech (California Institute of Technology).
In generale, i college che hanno deciso di rendere i test standard opzionali anche per il prossimo ciclo di applications hanno rimarcato il proprio approccio “olistico” nella valutazione delle candidature, che devono essere valutate in tutte le proprie sfaccettature.
In conclusione, se, come sembra, il prossimo ciclo di ammissioni prendesse la stessa piega del precedente, questa politica di “allentamento” rispetto ai requisiti richiesti per presentare le candidature verrà probabilmente adottata dalla maggior parte – se non da tutte – le principali università a stelle-e-strisce. Dunque, considerato il numero record di domande raggiunto l’anno scorso, è facile prevedere un’altra annata estremamente competitiva.
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