La lettera di presentazione è un elemento essenziale di qualsiasi candidatura lavorativa. Se il tuo CV risulta efficace e coerente con le necessità dell’azienda, la Cover Letter è ciò su cui si concentreranno i recruiter per capire se chiamarti per un colloquio. E’ quindi fondamentale evitare errori banali che potrebbero fortemente compromettere le tue chance di successo.
Ecco una lista di errori da non commettere assolutamente durante la stesura del testo:
Per partire col piede giusto, è importante non esordire con incipit eccessivamente vaghi, indirizzando – ad esempio – la lettera all’azienda, al responsabile dell’Ufficio Risorse Umane o, ancora peggio, “a chi di competenza”.
A parte il caso eccezionale in cui non si riesca a reperire alcun contatto di riferimento cui rivolgersi, è sempre meglio specificare – come mittente – la persona incaricata di occuparsi di assunzioni: non farlo verrebbe inevitabilmente percepito come una mancanza di volontà, da parte del candidato, di cercare tale informazione sul sito aziendale.
Come detto in precedenza, la lettera di presentazione è, con ogni probabilità, il primo documento che capiterà sotto gli occhi del selezionatore. Il suo obiettivo principale è invogliare il recruiter ad approfondire la conoscenza del candidato, con la lettura del suo Curriculum Vitae.
Per questo, è importante evitare troppe ripetizioni di informazioni nei due documenti: oltre ad essere inutili, possono risultare anche dannose, destando l’impressione che l’autore non abbia voluto aggiungere indicazioni personali più specifiche e, magari, adeguate alla posizione per cui concorre.
Per essere accattivante, il testo deve contenere solo i tratti salienti del CV, non essere una sua versione romanzata: nel caso, sarà il selezionatore ad approfondire le informazioni cui ritenga necessario destinare maggiore attenzione.
Altra annotazione: è sempre bene non iniziare la lettera con il proprio nome, già scritto nel CV.
La virtù sta nel mezzo, sostenevano gli antichi greci e latini: un insegnamento che torna quanto mai utile nella stesura della cover letter. Mai essere prolissi – è consigliabile approfondire solo una o un paio di esperienze lavorative veramente significative –, ma nemmeno troppo sintetici, rischiando di non valorizzare a sufficienza il proprio percorso, le proprie caratteristiche peculiari (così come le proprie passioni).
È importante ricordare che i responsabili delle assunzioni ricevono quotidianamente svariate candidature: per attirare la loro attenzione, è vitale condensare – in maniera chiara ed esaustiva – le informazioni più importanti in non più di una pagina, suddivisa in quattro paragrafi, più o meno della stessa lunghezza.
A tal proposito, una nota per i più giovani: non è mai positivo focalizzarsi in toto sul proprio percorso di studi. Il titolo accademico è rilevante – pertanto è giusto citarlo –, ma non è la qualifica più importante quando si compete per una posizione lavorativa. L’attenzione dei selezionatori si concentra quasi esclusivamente sull’esperienza professionale, anche stage, tirocini o volontariato. In caso di totale assenza, ci si può concentrare su progetti universitari cui si è partecipato e sulle capacità acquisite in tali occasioni, specie se pertinenti all’ambito in cui opera l’azienda.
Utilizzare modelli standard o riproporre sempre una stessa versione del testo – leggermente modificata all’occorrenza – può sì comportare un notevole risparmio di energie, ma anche ripercussioni negative.
Per fare una buona impressione, è importante essere originali. Alcuni modi sempre validi per toccare le corde giuste sono: cercare – ed inserire – informazioni specifiche sull’azienda; studiare il testo dell’annuncio, esaltando le competenze personali particolarmente coerenti con l’offerta.
Più nello specifico, è possibile elencare alcuni suggerimenti generali sul contenuto:
Verbi come pensare e credere non sono, a prescindere, vincenti in una cover letter; se proprio, meglio l’essere (“sono il candidato perfetto perché…”), che denota maggiore sicurezza.
Inoltre, bisogna considerare che nessun candidato è nella posizione di giudicare l’adeguatezza – o meno – del proprio profilo: questo è il lavoro del recruiter, sostituirsi a lui è quantomeno poco galante.
In generale, piuttosto che definirsi il candidato dei sogni, è sempre più efficace elencare le abilità e caratteristiche personali che, si pensa, siano particolarmente rilevanti per la posizione per cui si compete (il focus deve comunque essere sintetico, non oltre il paragrafo).
Errore comune, soprattutto tra i più giovani, la scarsa capacità di mettersi nei panni del datore di lavoro.
Di certo, concentrarsi eccessivamente sui benefici che si possono trarre dall’azienda – e sul perché questa sia adatta alle proprie ambizioni personali – non bendispone il selezionatore, in quanto indice di egoismo. Dunque, meglio evitare di definire il lavoro che si aspira ad ottenere come “un trampolino di lancio per la propria carriera” o “la svolta che potrebbe cambiare la propria vita”.
Molto più apprezzabile mostrare entusiasmo e motivazione, sottolineando il contributo che si ritiene si possa apportare all’azienda. Insomma, con una frase di Kennedy: bisogna chiedersi non cosa l’azienda possa fare per sé stessi, ma cosa si possa fare per l’azienda.
Nel concreto, per smarcarsi dall’autoreferenzialità, è consigliabile non utilizzare la prima persona.
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